La vita è ciò che facciamo di essa.
I viaggi sono i viaggiatori.
Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo.
Ho sempre sognato molto.
Sono stanco di aver sognato, ma non sono stanco di sognare.
Vivo sempre nel presente.
Non conosco il futuro.
Non ho più il passato.
L'uno mi pesa come la possibilità di tutto, l'altro come la realtà di nulla. Agire, ecco la vera inteligenza.
Sarò quello che vorrò essere.
Ma devo volere ciò che sarà.
L'esito è nell'avere esito, e non nell'avere condizioni di esito.
Chi, come me, soffre quando una nuovola passa davanti al sole, come potrebbe non soffrire nell'oscurità del giorno perennemente annuvolato della sua vita? Vivere è essere un altro. Neppure sentire è possibile se si sente oggi come si è sentito ieri: sentire oggi come si è sentito ieri non è sentire, è ricordare quello che si è sentito ieri, è essere oggi il cadavere vivo di ciò che ieri è stata la vita perduta. Cancellare tutto dalla lavagna da un giorno all'altro, essere nuovo ad ogni nuova alba, in una nuova verginità perpetua dell'emozione: questo e solo questo vale la pena di essere o di avere, per essere o avere quello che in modo imperfetto siamo. In fondo la vita è in sè stessa una grande insonnia e c'è un lucido risveglio brusco in tutto quello che pensiamo e facciamo. Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia.
Sono l'intervallo fra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente, più il niente di me stesso.
Io sono la periferia di una città inesistente, la chiosa prolissa di un libro non scritto. Non sono nessuno, nessuno. Non so sentire, non so pensare, non so volere. Sono una figura di un romanzo ancora da scrivere, che passa aerea e afaldata senza aver avuto una realtà, fra i sogni di chi non ha saputo completarmi.
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