sabato, gennaio 26, 2008

INTO THE WILD


Per chi volesse vedere questo film (lo consiglio vivamente) non legga tutta la recensione ma si limiti al primo paragrafo evitando la trama dettagliata.



Viaggio "on the road" verso l'Alaska nel bel film di Sean Pennsul valore della solitudine che fu presentato alla Festa di Roma


"Into the wild", il mito americanonell'incontro tra uomo e natura selvaggia


di ROBERTO NEPOTI


"Into the wild", il mito americanonell'incontro tra uomo e natura selvaggia"

Ci sono storie dove i personaggi restano uguali a se stessi dall'inizio alla fine; altre, nel corso delle quali evolvono e, insieme, evolve l'opinione che ci facciamo di loro. Ricade nel secondo caso Into the wild, il "film di formazione" diretto da Sean Penn che ci sorprese e ci emozionò alla Festa del Cinema di Roma. A partire da una vicenda autentica, trascritta nelle pagine del libro "Nelle terre estreme" di Jon Krakauer, Penn si confronta direttamente col mito originario americano: l'incontro tra l'uomo e la natura selvaggia. Crea, a sua volta, un mito contemporaneo nel protagonista, giovane uomo dalla personalità al confine tra eroismo e fragilità, nevrosi e ricerca della purezza; un "picaro" dell'anima nipote elettivo dei cavalieri erranti della Beat Generation. Fa di più: osa realizzare un film sul valore della solitudine in un tempo che avverte la solitudine come il massimo pericolo, tanto da esorcizzarla di continuo con i telefonini, o con la "rete".



All'inizio degli anni 90, il neolaureato Christopher McCandless dà quel che ha in beneficenza e parte per un lungo viaggio, autentica performance dell'anima per la quale assume un nome d'arte: Alexander Supertramp, il Supervagabondo. Oltreché dalle pulsioni di libertà e anarchismo, è spinto a partire dal rifiuto della famiglia d'origine: cellula di giudizio e controllo sociale, di odio latente, di perfetta infelicità; tanto più spaventosa perché accettata come norma e condizione naturale. Tra Nuovo Messico, Arizona, Sud Dakota, su su fino alle nevose solitudini dell'Alaska, l'itinerario marca una serie d'incontri con l'altro, occasioni di conoscenza e comprensione anche reciproca. Alex s'accompagna a una coppia di hippies, la cui vita non è tutta rose e fiori; lavora in un'azienda agricola, diventando amico di un tale ricercato dalla polizia; flirta con una giovanissima cantante folk; incontra un vecchio eremita, che vuole adottarlo. Già di per sé, intraprendere una tale pista equivale a confrontarsi con la mitologia fondativa della cultura americana, dai pionieri che affrontarono per primi le terre incognite a Thoreau, da London a Kerouac.
Tappa dopo tappa, però, il viaggiatore s'immerge sempre più nella solitudine, fino a sfidare le stesse possibilità di sopravvivenza: la wilderness è libertà e verità, ma rappresenta anche il rischio e la minaccia ultima. In una scena ai limiti del sublime Alex, ormai stremato dalle privazioni, si trova di fronte un gigantesco orso bruno: forse affamato quanto lui, eppure non minaccioso. Qui Penn dà forma definitiva al mito dell'incontro tra due creature libere nel Paradiso Perduto, nostalgia lacerante di un'intera cultura tuttora in lutto per la perdita dell'innocenza e che, promotrice della "civiltà", ad essa annette un irredimibile senso di peccato. Sereno e dolente, stoico e consapevole insieme, refrattario al "nostalgismo" come al manierismo, lo sguardo della macchina da presa annette di diritto Penn - accanto a Clint Eastwood, Paul Haggis e pochi altri - alla pattuglia transgenerazionale di cineasti capaci di raccogliere la grande eredità del cinema classico americano.


Appropriate le canzoni di Eddie Vedder dei Pearl Jam.


INTO THE WILD Regia di SEAN PENN Con E. HIRSCHT, WILLIAM HURT, M. GAY HARDEN



Da "Repubblica"

25 gennao 2008

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