lunedì, settembre 24, 2007

Normalità e patologia


Normalità e patologia

Il concetto di "normalità"


Quando è possibile reputare una persona: "malata mentalmente"? Dove finisce la salute e inizia una esistenza dominata dal dolore psichico?
Si tratta di interrogativi che la psichiatria e la psicologia clinica hanno dovuto affrontare da sempre. Prima dell’opera di S. Freud la psichiatria classica distingueva con rigidità le persone dette "sane", da coloro che erano considerati i "malati mentali", senza possibilità di zone intermedie, dove normalità e patologia potevano incontrarsi.
La paura, o l’orrore che derivava dalla condotta "strana" a volte violenta o irridente del "folle", aveva provocato, nella storia, diverse idee sulla natura della malattia stessa. Si trattava spesso di concetti con cui la scienza non aveva nulla a che vedere. Idee popolari, miste a principi superstiziosi o a credenze pseudo-religiose, avevano finito col generare l’opinione che il malato di mente fosse una creatura demoniaca; la sua "degenerazione" mostrava l’esempio evidente di ciò a cui poteva ridursi l’uomo, una volta che il demonio si fosse impossessato della sua anima.
In altri casi la follia era ricondotta invece all’emergere delle più bieche ed animalesche tendenze umane, ed in altri ancora il malato mentale non veniva addirittura riconosciuto come persona umana, ma trattato alla stregua di una bestia feroce.
In realtà la "diversità" che manifesta la malattia, nella sua forma più evidente, la follia, ha da sempre acceso la fantasia popolare, suscitando immagini paurose, da cui doversi difendere.
L’idea che il "matto" fosse in preda a spiriti maligni o l’espressione della malevolenza di un qualche dèmone era diffusa in tutta l’antichità, ma anche la ben più evoluta civiltà del Rinascimento non aveva rinunciato a considerare la malattia mentale con atteggiamento superstizioso. Nell’età della Ragione e dell’Armonia rimane prevalente la spiegazione religiosa che evoca maledizioni e la necessità di purgare il peccato mediante strumenti terribili come la tortura e il rogo. Al malato mentale, la sua comparsa, vengono ricondotte tutte le calamità naturali, le carestie, le ondate di pestilenza.
L’orrore, la paura profonda della follia, evoca altro orrore e l’intolleranza. Dalla fine del Quattrocento vengono perciò bruciati vivi centinaia di migliaia di "streghe" e "maghi", fra i quali la maggioranza era costituita da malati psichiatrici.
Altrettanti, e forse molti di più, venivano invece condotti fuori dalle mure delle città, e abbandonati al loro destino. Talora erano costretti a vivere errando per le campagne, costretti a sfamarsi mediante il furto o l’elemosina, ma più spesso si riunivano in gruppi nomadi.
L’invenzione dei reclusori, come luoghi di segregazione del "malato mentale" a scopo di "difesa sociale", nascono fra il Sei e il Settecento ed anche se talora vengono definiti col nome di Ospedali, con quelli odierni non hanno nulla da dividere. È solo con la creazione del Manicomio - luogo preposto a cure mediche e a "tutela" della persona ammalata - che si inizia a considerare la sofferenza del "folle" come motivazione per un suo trattamento sanitario, e quindi ha inizio un vero e proprio processo terapeutico. Ma siamo già nell’Ottocento.
Il Novecento condivide la grande evoluzione scientifica che ha portato alla elaborazione di numerosi progetti terapeutici: dall’invenzione degli psicofarmaci alla definizione di diversi indirizzi di psicoterapia. È anche l’epoca della deistituzionalizzazione delle strutture manicomiali e la nascita di una psichiatria sociale. Ma di questo ci occuperemo nel prossimo paragrafo.
Parallelamente al concetto di patologia, anche quello di normalità ha subito una profonda modificazione nel tempo.
Oggi gli psicologi e gli psicopatologi sono molto più prudenti nell’individuare una netta linea di demarcazione fra malattia e salute mentale. Le loro opinioni convergono nel ritenere un essere umano in condizioni di "stato normale", quali che siano i loro problemi profondi, nel momento in cui è in grado di manifestare un buon adattamento ambientale, senza rimanere bloccato di fronte a conflitti particolarmente acuti, senza farsi respingere dagli altri, nonostante le differenze che si strutturano nelle relazioni con loro.
"La cosiddetta persona che "sta bene" - spiega lo psicopatologo francese Jean Bergeret - non sarebbe soprattutto un malato che ignora se stesso, ma un soggetto che porterebbe in sé fissazioni conflittuali tali da configurarlo come malato come molti altri, ma che non avrebbe incontrato sulla sua strada difficoltà interne alle sue facoltà personali di difesa e di adattamento, e che si permetterebbe un gioco abbastanza elastico dei suoi bisogni pulsionali, dei suoi processi primari e secondari, sul piano sia personale che sociale, tenendo in giusto conto la realtà" (1990).
Nella definizione di Bergeret entrano numerosi concetti collegati alla nuova immagine della normalità di cui oggi disponiamo.
In primo luogo occorre notare come permanga un’area di "conflitto psichico" anche all’interno della persona considerata "sana". Da ciò discende l’idea che la persona in salute possa, in ogni momento, entrare in una condizione patologica, qualora i problemi della vita la colgano impreparata e quindi non renda più possibile un suo adattamento ambientale.
La salute, come la malattia, acquista un senso di relatività e non di assolutezza.
Secondariamente Bergeret pone attenzione sia alle caratteristiche bio-psicologiche, profonde di ogni individuo, sia a quelle relative all’ambiente.
Malato non è colui che possiede una struttura biologica "debole", o meglio, non basta questo per qualificare la propensione alla malattia. Altrettanto valore posseggono le viariabili esterne. Vale per tutti l’esempio dello sciamano nelle culture dei popoli di natura.
Il diventare "sciamano" o "uomo-medicina" non è prerogativa di tutti i componenti del gruppo: occorre manifestare "segni" particolari, doti eccezionali, poiché lo sciamano è colui che "cura" i rapporti con il mondo dello Spirito e quindi ha accesso ad aspetti della realtà che non sono comuni.
Spesso lo sciamano deve avere superato prove molto dure, a volte durissime, come la sopravvivenza in condizioni estreme. Presso gli Esquimesi, nessun uomo può essere sciamano se non ha superato l’ostacolo più grande: avere vinto la morte. Superare la morte, vincerla in un qualche modo rappresenta un’azione magica che viene collocata al centro di numerose credenze religiose. La stessa religione cristiana crede nel Cristo Salvatore, che si incarna, soffre, muore e risorge per il Bene dell’umanità.
I segni che indicano la strada a un uomo destinato a diventare "uomo-medicina" sono descritti in modo diverso nelle varie culture. I Lakota hanno grande attenzione alle "visioni" e cioé a momenti di incanto in cui si presentano immagini fantastiche, capaci di comunicare a chi le coglie le comunicazioni misteriose degli spiriti naturali o del Grande Spirito.
La grande visione di Alce Nero ne rappresenta uno straordinario esempio. Nuvola Rossa d’altra parte affermava che "Ogni uomo ha la sua visione. E quando arriva questo momento, egli la deve seguire come l’Aquila segue l’azzurro del cielo".
Le visioni, i comportamenti originali, possono essere visti nella nostra cultura come manifestazioni di malattie mentali: sintomi di un disagio. Un tempo poteva condurre al Manicomio, alla reclusione, e questo, immancabilmente, provocava un peggioramento della condizione di salute del "visionario", il quale, in breve tempo iniziava a comportsrsi esattamente come gli psichiatri avrebbero voluto e cioé come un perfetto "matto".
Nella cultura Lakota il "visionario" reca il segno del comando, della saggezza, della comunicazione col mondo sacro; è stimato e onorato. A lui e non ad altri spetta un posto sociale di grande rango e prestigio. Nella cultura occidentale viene classificato come "delirante" e vive un profondo disadattamento psichico: è un malato.
Con questo non si intende colpevolizzare la cultura dell’Occidente, ma mettere in evidenza come lo stesso fenomeno possa avere conseguenze diametralmente opposte all’interno di culture diverse.
L’ambiente è corresponsabile del rischio di malattia.
L’ultimo aspetto su cui occorre soffermarsi circa l’affermazione di Bergeret riguarda il rapporto con la realtà, e cioé l’idea che l’area del normale possegga una giusta visione delle cose nella loro obiettività e non sia invece troppo deformata dalle condizioni interne, deformate dalle fantasie mentali.
Anche in questo caso la norma coincide con la possibilità di compiere un esame di realtà condiviso con altri, per allinearsi con una opinione comune abbastanza convergente.
Non si tratta però di qualcosa di valido assolutamente, ma della semplice "common life", come la esprimono gli inglesi, e cioé il frutto di una convenzione, condivida a livello sociale.
Tutto questo provoca una idea di normale e di patologico molto meno suddivisibili in campi separati in modo definitivo, per far spazio a opinioni in cui il patologico coincide col disadattativo, col disagio che deriva dall’estraniazione dal vissuto sociale condiviso, con grandi dispendi di energia da parte dei cosiddetti "pazienti".
Per questo motivo la psicopatologia ha dovuto modificare fortemente le sue convinzioni, per giungere a una classificazione molto diversa da quella classica ottocentesca.


Principali disturbi mentali

Ansia
Si tratta di uno stato che viene provato da tutti nel corso della vita. Può essere accompagnato ad alcune situazioni reali che portano preoccupazione, come un esame, una interrogazione, una prova importante. È caratterizzata dalla senzazione di un pericolo incombente dal quale è difficile ripararsi, poiché non ha origine. Nella sua forma più grave, chiamata anche angoscia, la paura intensa che viene provata è ancora più grande in quanto non esiste un motivo esterno che la possa giustificare. Si tratta di una paura senza motivo apparente.
Le manifestazione dell’ansia più evidenti sono la sudorazione intensa, la tachicardia (aumento della frequenza del battito cardiaco), tremori, ecc.
Non si tratta tuttavia di un disturbo specifico, ma una sensazione che si associa a numerose problematiche mentali.

Depressione
La depressione rappresenta uno stato d’animo legato a una disperazione, a un senso d’impotenza che spesso porta al bisogno di piangere o di fuggire.
Conosciamo una depressione detta "reattiva" e cioé causata da una situazione molto penosa, come la morte di un familiare o di un amico, o conseguente a un insuccesso personale, nel campo del lavoro, o nel campo affettivo.
La depressione maggiore o depressione psicotica sembra invece non avere una causa oggettiva ed è stata definita "il male oscuro". La depressione maggiore ha sempre un rischio suicidario e spesso, per essere trattata, richiede una integrazione fra farmaci e terapia psicologica.

Mania
Viene definita mania una eccitazione generalizzata dell’attività mentale. Il soggetto passa da un pensiero all’altro, come in preda a una febbre comportamentale e mentale. A volte ha la sensazione che i pensieri gli sfuggano dalla testa. Il livello di concentrazione si abbassa e la qualità delle percezioni diminuisce, facendo spazio a una sovrapoduzione di idee confuse. Malgrado le manifestazioni esteriori della mania e della depressione siano diametralmente opposte, il problema con cui il soggetto si misura è lo stesso: e cioé l’incapacità a provare soddisfazione dalla vita. "Il depresso è risucchiato nel vuoto, il maniaco gli gira attorno".
Esistono persone in cui la depressione e la mania si alternano ciclicamente procurando un disturbo detto "bipolare". Il vero problema è quello depressivo, a cui il soggetto si oppone con tutte le sue forze, assumendo caratteri di tipo maniacale.

Schizofrenia
Abbiamo già parlato abbondantemente di questo grave disturbo. I principali sintomi che si trovano collegati ad essa sono diversi: in primo luogo, l’isolamento dalla realtà, e cioé il fatto che il paziente vive isolato in un proprio mondo. Nella sindrome autistica, la realtà viene vista con toni così negativi, da creare degli attacchi agli organi di senso che impediscono un rapporto col mondo, isolandosi da esso. In questo senso W. Bion parla di attacchi al legame, quindi agli organi che consentono un legame con la vita di relazione.
Un secondo sintomo tipico è il delirio. Si tratta della convinzione che una certa idea, a volte inverosimile, sia vera, o venga vissuta in modo così vivido da essere ritenuta realistica. In ogni caso la partecipazione emotiva al delirio è molto elevata.
Da ultima l’allucinazione completa il quadro della sintomatologia schizofrenica.
È una alterazione della percezione in cui vengono viste o udite o sentite tattilmente delle stimolazioni inesistenti.

Paranoia
Si parla di paranoia quando il soggetto manifesta atteggiamenti persecutori, spesso sfoncianti e vere e proprie forme di delirio al cui centro si trovano idee di complotti o di tentativi di attacco alla incolumità del paziente.
Il paranoico è sicuro della fondatezza delle proprie idee e nessuno riesce a convincerlo della loro assurdità. A volte il senso di aggressione è così forte da indurre una forte sospettosità, che si allarga a una vasta parte del mondo circostante, visto sempre in combutta contro di lui. In altri casi invece il persecutore viene identificato e anche perseguito, per scopi "difensivi". Può accadere che in azione di "difesa" il paranoico possa aggredire a sua volta il suo presunto "persecutore" creando pericolosi "passaggi all’atto".

Ossessioni
Sono caratterizzate da comportamenti obbligati o compulsivi. Il soggetto si sente costretto a compiere determinate azioni, a ripetere rituali, al fine di esorcizzare situazioni di pericolo.
A volte la patologia si presenta come bisogno sfrenato di tenere tutto sotto controllo, portando a una esagerazione per l’ordine e la pulizia.
Talora l’ossessione può rendere la vita così piena di rituali, da impedire alla persona che ne è affetta di muoversi o la costringe ad affaticanti e soffocanti operazioni vissute in modo doloroso.
In adolescenza è facile che si presentino sintomatologie transitorie di natura ossessiva, ma sono del tutto fisiologiche e si risolvono spontaneamente.

Fobie
È definita col termine fobia una forma di paura intensa provocata da determinati tipi di animali: cani, topi, ragni, insetti, serpenti, ecc, o persone o ambienti, o situazioni.
Si parla di agorafobia quando la paura è collegata ad ambienti aperti, ampi, come certe piazze; al contrario invece si definisce claustrofobia l’angoscia derivante dal permanere in ambienti piccoli o stretti.
Uno dei problemi più interessanti collegati alle fobie riguarda le strategie di evitamento dell’ostacolo che genera la fobia. Talora queste strategie diventano così imponenti da ridurre la vita di relazione. Pensiamo che una forte fobia dei cani o degli insetti può ridurre molto l’uscita della persona in ambienti naturali e quindi sfociare in una chiusura all’interno delle mura domestiche, sentite come protettive e rassicuranti.

Malattie alimentari psicogene
Sono disturbi psicologici che riguardano problematiche collegate all’assunzione o al rifiuto del cibo.
Attualmente osserviamo con grande frequenza il presentarsi di patologie della sfera alimentare. Distinguiamo l’anoressia che colpisce prevalentemente soggetti femminili in età adolescenziale. Si presenta come un rifiuto ostinato di alimentarsi e può condurre a una forma di dimagrimento talmente elevata da compromettere il funzionamento del corpo. Si blocca il normale ciclo mestruale e la ragazza rischia realmente la sua stessa vita.
L’anoressica non è in grado di valutare il grado del suo dimagrimento e, nonostante sia molto esile, si vede sempre grassa ed in modo irrimediabile. La responsabilità della sua condizione viene attribuita alla madre che si considera causa dei difetti fisici di cui si vede vittima la ragazza.
In alcuni casi l’anoressia si presenta alternata a momenti in cui la persona incorpora cibo in modo esagerato, specie dolci, mostrando una sorta di ciclicità fra fasi di anoressia e fasi di bulimia.
La bulimia, dal canto suo, è proprio caratterizzata da un rapporto avido col cibo, ingerito in grande quantità e con fretta esagerata. Il soggetto bulimico mangia spesso di nascosto e poi vomita, nel tentativo di riparare le conseguenze delle abbuffate.
Si conoscono forme di anoressia in cui la persona, dopo aver mangiato, "brucia" il cibo attraverso una intensa e smodata attività fisica, trascorrendo ore in palestra o facendo footing. In altri casi ancora, dopo ogni pasto l’anoressica, si procura il vomito e impedisce così l’assimilazione dei cibi.

Dipendenze patologiche
Si tratta di un capitolo complesso della psicopatologia e comprende la dipendenza patologica da diverse sostanze come l’alcool, i farmaci e le varie forme di sostanze stupefacenti.
I soggetti che presentano questi tipi di patologia arrivano a vivere solo in relazione alla sostanza di cui abusano.
A proposito della tossicodipendenza, lo psicologo Oliverstein sostiene che l’uso della sostanza tossica, come l’eroina, serva al malato per combattere forme ancora peggiori di sussistenza psicologica, come la follia, realizzando una sorta di equibrio assai precario basato sull’assunzione di droga.
Si tratta sempre di patologie gravi, assai difficili da trattare.

Ipocondria
Si tratta di un disturbo che imprime la convinzione di essere ammalati anche senza motivo. Di questo il paziente si preoccupa e ne soffre altamente. Spesso la medicina lo considera un ammalato immaginario, ma l’ossessione rivolta verso il proprio corpo genera un’angoscia reale, che deve essere considerata sotto il profilo psicologico.

Malattie organiche

Sono molteplici e riguardano il funzionamento del sistema nervoso centrale. Per questo motivo non le prendiamo in considerazione dal punto di vista psicologico, anche se, naturalmente, vi sono profonde relazioni fra patologie nervose e problematiche psicologiche.
La terapia consiste nel cercare i fili spezzati dell’esistenza dei pazienti, e tentare di annodarli. I nodi sono spesso possibili, ma non è detto che tengano a lungo. A volte occorre riannodarli più di una volta; in altri casi non è proprio possibile.

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